L’azienda donata

Questa storia di mediazione narra di un conflitto sorto tra tre fratelli, coeredi di un cospicuo patrimonio ereditario.  La questione controversa era un’azienda che il padre aveva attribuito in via esclusiva ad uno dei figli dietro il paravento di una vendita realizzata a prezzo quasi simbolico. I fratelli avevano tentato inutilmente di percorrere la strada di un accordo transattivo prima della deflagrazione del conflitto.

I protagonisti della storia sono dunque Mario, Paolo e Cristina (come ho già accennato, trattandosi di un caso di mediazione recentemente concluso, i nomi sono di fantasia) i quali ereditano dall’anziano padre un cospicuo patrimonio immobiliare, una rilevante somma di danaro contenuta in un conto corrente bancario ed un dossier titoli di tutto rispetto. E’ in atto una faida familiare che ha l’effetto di avere bloccato la disponibilità del patrimonio. Poichè la madre è premorta e poiché manca il testamento,gli unici eredi sono i tre fratelli i quali hanno diritto ad una quota paritaria di un terzo dell’asse ereditario. Il problema però non è la quota di eredità, i fratelli litigano da mesi sulla consistenza del patrimonio.

L’effetto del conflitto tra i coeredi è grave: il conto corrente intestato al de cuius che ha un attivo di poco più di un milione di euro ed il dossier titoli che è accreditato per circa quattrocento mila euro sono bloccati.
Inoltre gli immobili compresi nell’asse ereditario erano a reddito e dunque gli inquilini erano stati diffidati da uno dei fratelli dal fare i pagamenti dei canoni a vantaggio degli altri due. Uno degli immobili in proprietà indivisa necessitava urgentemente di manutenzione. Il tetto del palazzo, diviso in otto appartamenti di lusso, necessitava di un intervento di rifacimento della copertura. Dopo aver preso coscienza che in quella situazione non sarebbero riusciti a risolvere la controversia in tempi brevi gli avvocati decisero di avviare un procedimento di mediazione.

Secondo le modalità attuative del modello di mediazione che io propongo privatamente, ho fissato una riunione online con i legali delle parti per informarli su come avrei impostato la procedura, sui costi del procedimento, sulle modalità e sulla gestione temporale degli incontri.

Infatti il modello che propongo alle parti prevede incontri presso la loro città di residenza che durano l’intera giornata e dunque il modello abbisogna della disponibilità di tutti i soggetti coinvolti ad investire il tempo necessario a celebrare gli incontri. Il primo aspetto sul quale ricerco un accordo è dunque proprio quello del setting della mediazione. Gli incontri si svolgono in una sala riservata di un grande albergo, durano come già detto l’intera giornata e prevedo di pranzare insieme alle parti ed agli avvocati.

Sempre che tutti siano d’accordo e siano disponibili a farlo poiché sedere a tavola con il proprio avversario non è cosa da poco ma il gesto simbolico di spezzare il pane alla stessa mensa è già un passo significativo verso la meta comune.

La sessione congiunta

Nel giorno fissato per il primo incontro tutto è pronto ad accogliere le parti ed i rispettivi avvocati. Ho fatto riservare una sala riunioni in un grande albergo della città; un piccolo buffet di caffè, bevande e pasticcini è montato su un tavolo nella parete laterale della sala per affrontare la prima sessione di mediazione che, di solito, è una delle più complesse dell’intero procedimento. Si comincia.

Il clima è quello tipico dei primi incontri. Sguardi sfuggenti, i fratelli non si rivolgono la parola.Invito ognuno di loro a prendere posto intorno al tavolo che ho fatto preparare nella sala riunioni ed ognuno dei fratelli si siede accanto al proprio avvocato.

Generalmente propongo alle parti di fare un primo giro di tavolo narrando i fatti. Ricostruire la questione, ricordare e riportare al tavolo della mediazione la propria ricostruzione degli avvenimenti, della storia familiare, delle origini del conflitto è già di per se una parte importante del metodo che propongo alle parti. Per quanto distorta possa essere la realtà proposta da ciascuno degli eredi, ogni versione dei fatti ha una sua dignità, è frutto del proprio vissuto e dunque merita di essere accolta al tavolo della mediazione con la medesima attenzione.

La cura che dedichi al dolore delle parti è la prima terapia. Sentirsi ascoltati, accolti, non giudicati, compresi, aiuta le parti in conflitto ad aprirsi. E badate, non è poca cosa quella di raccontare in pubblico la propria storia familiare, mettersi a nudo, narrare il proprio dolore, la propria delusione. E’ già questa una conquista che il mediatore esperto deve raggiungere con pazienza.

Apprendo dunque dalla narrazione che i tre fratelli mi offrono che l’anziano padre era conosciuto per essere stato un grande imprenditore; per aver fatto fortuna negli anni cinquanta grazie ad una certa spregiudicatezza negli affari; per aver accumulato nel tempo un rilevante capitale fatto di immobili, titoli azionari, depositi bancari. Era dunque uno che ci sapeva fare, noto anche per il rigore nel trattare gli affari. Apprendo anche che lo stesso rigore con cui trattava gli affari lo riservava ai familiari e specialmente ai figli. Insomma un uomo che aveva fatto del lavoro il suo primo interesse nella vita a volte a discapito delle attenzioni verso la famiglia.

Ecco dunque il primo nodo da sciogliere, la prima questione da affrontare e da trattare con la necessaria cura: i rapporti personali del padre con i figli. Come si erano sentiti loro, i figli, di un uomo severo e rigido come se trattasse sempre con i propri dipendenti? Che rapporto avevano avuto con un padre spesso assente nella vita familiare? Avevano sofferto della mancanza di una certa intimità con il padre? Lo avevano contestato? Lo avevano imitato? Ed ora che erano in là con gli anni e a loro volta madri e padri di famiglia, avevano replicato il modello familiare d’origine o avevano attuato una cesura con il modello paterno?

Tutto era cominciato negli anni 50 con la creazione di una società di fornitura di ricambi auto. Negli anni l’attività aveva avuto fortuna ed il padre era riuscito a sviluppare l’azienda espandendola fino a diventare un punto di riferimento nell’intera regione.

Nel frattempo si era presentata l’occasione di rilevare un’azienda concorrente ed il padre non si era fatto sfuggire l’occasione acquistando quella piccola azienda familiare ad un prezzo molto conveniente. Mentre i due figli minori seguivano la prima azienda di famiglia insieme al padre, la sorella, dopo il matrimonio, viene messa a dirigere la seconda azienda insieme al marito.

Ma ecco il punto, Cristina ed il marito assumono il controllo della seconda azienda rilevando le quote societarie che il padre ha ceduto loro ad un prezzo di favore, un prezzo assolutamente fuori mercato. Col tempo Cristina ed il marito investono molto nella propria attività impiegando molto lavoro e molti soldi ma ora Cristina poteva dire di avercela fatta.

Dopo il pranzo, cui nessuna delle parti partecipa, ci ritroviamo nella nostra sala di mediazione ed io propongo ai presenti di riprendere gli incontri con una differente modalità. Chiamo dunque delle sessioni separate.

Le Sessioni riservate

La sessione riservata con Mario e Paolo traccia uno scenario simile a quello che mi ero immaginato. I due fratelli si erano fatti in quattro affiancando il padre nel suo lavoro. Ne avevano sopportato le intemperanze, avevano tollerato il suo carattere dirigista che poco spazio concedeva alle collaborazioni essendo piuttosto avvezzo al comando ma avevano fatto quello che reputavano essere il loro dovere di figli.

Negli ultimi anni, quando il padre era anziano, lo avevano sostenuto sia nel lavoro sia nella vita privata. Infine si erano fatti carico della sua infermità e della sua vecchiaia.

Ma Cristina dov’era in questi frangenti? Cristina era rimasta distante dal padre, anche nel periodo dei suoi ultimi anni e non si era occupata d’altro che ella propria azienda. I due fratelli non si spiegavano questo atteggiamento; sembrava loro un comportamento imperdonabile.

Era ai loro occhi una ferita inguaribile che non le avrebbero perdonato. Sì, certo, volevano risolvere la questione ereditaria che li affliggeva da quasi un anno ma farle troppe concessioni avrebbe voluto dire “dargliela vinta”.

I due fratelli mi dicono di non riportare nulla di quanto mi hanno riferito riguardo alle questioni personali ma piuttosto che sono disposti a trattare sulla questione della divisione ereditaria, che vogliono passare attraverso una stima aggiornata e condivisa dell’asse ereditario e che, costi qual che costi, vogliono collazionare e dunque far rientrare nell’asse ereditario l’azienda che il padre ha praticamente donato alla sorella.

Avvio la sessione separata con Cristina e con il suo avvocato. Ne ricavo una ricostruzione degli stessi fatti diametralmente opposta e tuttavia, al termine della sessione, mi arriva un’informazione decisiva. Ma andiamo con ordine.

Cristina mi confida subito che, pur essendo la maggiore dei tre, ha sempre avuto l’impressione di essere stata spesso estromessa dalla gestione degli affari di famiglia e che il padre non avesse per lei la giusta considerazione. Non si sentiva considerata dal padre né come persona né come imprenditrice.

Ecco perché si era impegnata fino allo spasimo per dimostrare e tutti che quell’azienduccia che il padre le aveva appioppato perché non sapeva cosa farsene era diventata il fiore all’occhiello del patrimonio. Del suo patrimonio. Non aveva nessuna intenzione di conferirla nell’asse ereditario né di assecondare le pretese dei fratelli di effettuare la collazione ereditaria sulla sua azienda.

Del resto, mi dice con un certo orgoglio, che lei si era comportata nella sua vita proprio come aveva fatto il padre; si era fatta da sola ed aveva dimostrato a tutti di “saperci fare”. Proprio come il padre aveva dedicato tutte le sue energie al lavoro e ne aveva fatto il proprio banco di prova. Ecco il punto nodale.

Dei tre fratelli Cristina era quella che aveva replicato il modello esistenziale proposto da suo padre. Nel suo desiderio di affermazione personale si era distaccata dalla famiglia d’origine ed aveva puntato tutto sul lavoro, aveva puntato tutto sulla sua azienda.

Al termine della sessione separata Cristina non mi autorizza a riportare le questioni personali che mi ha confidato; ci pensa il suo avvocato a comunicarmi che la sola cosa che potrò riportare è quella che anche Cristina acconsente a procedere con una stima condivisa del valore dell’asse ereditario a condizione che non si parli dell’azienda.

Al termine delle seconda sessione separata comunico alle parti che intendo riprendere a lavorare in sessione congiunta e riferisco ciò che sono stato autorizzato a riportare.

La mediazione – penso tra me e me – non si presente né semplice né di pronta soluzione ma mai scoraggiarsi; negoziare sempre!

Dedichiamo dunque il resto del pomeriggio a confrontarci sulla necessità di far predisporre una consulenza tecnica sul valore degli immobili ricompresi nell’asse ereditario.

E siamo alla seconda giornata di mediazione; i tecnici nominati dalle parti hanno fatto un buon lavoro. Ne viene fuori un quadro incoraggiante che sorprende persino i coeredi.

Complessivamente il valore del patrimonio immobiliare risulta notevolmente accresciuto negli anni. I due grandi appartamenti che ora sono la casa familiare rispettivamente di Mario e di Paolo siti in due delle strade principali della città si sono fortemente rivalutati; il piccolo appartamento dove il padre si era trasferito dopo aver perso la moglie e dove aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita era in ottime condizioni e poteva essere messo a reddito entro breve; il palazzo in centro diviso in appartamenti necessitava di un intervento di rifacimento della copertura ma era complessivamente in buone condizioni ed inoltre rimaneva una straordinaria fonte di reddito; in più con l’utilizzo degli incentivi fiscali dovuti al superbonus 110% l’intervento al tetto si trasformava in un vantaggio fiscale considerevole.

A questo punto chiesi ai fratelli se fossero soddisfatti del lavoro dei tecnici. Ci fu un SI’ unanime e senza esitazioni. Chiesi loro se lo condividevano e se potevamo utilizzarlo come base per la trattativa. Anche in questo caso ci fu un SI’ convinto. Mi presi qualche secondo di silenzio e li guardai uno ad uno con studiata flemma; al termine chiesi loro se si sentivano pronti a parlare della divisione del patrimonio e se avevano compreso che un accoro sulla divisione del patrimonio avrebbe necessariamente richiesto un certo grado di riconoscimento dei propri interessi come anche degli interessi altrui oltre alla soddisfazione personale.

Ci fu una certa esitazione e i due fratelli incrociarono lo sguardo ma alla fine tutti e tre mi dissero di SI’. I tre avvocati avevano opportunamente taciuto. Ci contavo!
Stavo volontariamente attivando quel principio di negoziazione che Robert Cialdini chiama consistency ossia il principio della coerenza.

Le persone desiderano essere coerenti con quello che hanno già detto o fatto, in particolare in pubblico. Esiste un certo orgoglio in quello che si dichiara e le persone, in base a esso, desiderano essere veritiere e coerenti con se stesse.

Erano pronti. Avevano introitato il principio della cooperazione ed il concetto di obbiettivo comune; potevano affrontare il tema della divisione del patrimonio e quello della collazione dell’azienda di Cristina. Introdussi allora l’argomento della collazione dell’azienda donata alla sorella e manifestai con le giuste parole la difficoltà che Cristina aveva ad accettare di dover conferire nella massa ereditaria la sua azienda.

Emerse che tutti avevano ben chiaro che al momento del conferimento a Cristina l’azienda era di valore modesto essendo un’azienda familiare di piccole dimensioni e tutti sapevano anche che una battaglia legale sul principio di stima dell’azienda li avrebbe impegnati a lungo in una costosa battaglia; nel frattempo la crisi ereditaria sarebbe continuata ed il patrimonio sarebbe stato ancora bloccato.

Rassicurati dall’incremento di valore del patrimonio immobiliare e dalla prospettiva del vantaggio fiscale dell’investimento per il rifacimento della copertura del palazzo i due fratelli si sentivano più pronti a cedere sulla questione dell’azienda; tanto più che avevano riconosciuto a Cristina di aver valorizzato negli anni la società grazie ai notevoli investimenti economici ed all’impegno suo e del marito.

A questo punto ero tentato di proporre due sessioni separate ma si erano fatte le 13:30 e dunque proposi di interrompere la sessione congiunta e di fare una pausa durante la quale tutti avrebbero potuto fare le proprie riflessioni. Concordai di riprendere il nostro incontro alle 15:30 e aggiunsi che sarei stato contento di pranzare insieme a loro in albergo.

A pranzo ebbi la sorpresa di trovare tutti presenti; ci avviammo verso la sala da pranzo come un gruppo di lavoro che dopo una lunga riunione si concede una pausa. Forse era proprio così: eravamo diventato quello che in psicanalisi si definisce “un gruppo” e finalmente avevamo cominciato a lavorare su un obbiettivo comune. Il pranzo fu piacevole ma percepii molta tensione. Qualche battuta stemperò il clima non del tutto disteso ma di fondo si percepiva un cambiamento di atteggiamento. Lo potevo comunque considerare un successo.

L’accordo di mediazione

Riprendemmo a lavorare all’ora concordata e furono i legali di Paolo e Mario ad aprire la riunione dicendo che i rispettivi clienti erano disposti a valutare l’azienda al momento della cessione se Cristina si fosse resa disponibile a riportarla nell’asse ereditario con la collazione. Si trattava di una rigidità legata ad una questione di principio. Sentii un brivido lungo la schiena.

Le questioni di principio spesso vanificano gli sforzi negoziali. Sorprendentemente fu l’avvocato di Cristina a togliermi dai guai dicendo che pur sapendo che la sua cliente prima del tentativo di mediazione non avrebbe mai acconsentito a riportare la sua azienda nell’asse ereditario ma che ora, alla luce della dichiarazione dei colleghi che avevano accettato di attribuire all’azienda il valore al tempo del conferimento e non al tempo dell’apertura della successione, la sua cliente per puro spirito transattivo, era remissiva all’ipotesi della collazione dell’azienda.

Era stato sciolto il nodo principale. Il clima tra i fratelli si era disteso e Cristina aveva visto riconosciuto il proprio impegno nel valorizzare la piccola azienda che il padre le aveva donato.

Paolo e Mario si erano resi disponibili ad adottare una valutazione dell’azienda che era molto favorevole a Cristina pur di risolvere la crisi ereditaria ma avevano ottenuto il riconoscimento di quello che per loro era una questione di principio irrinunciabile, ossia applicare la collazione ereditaria all’azienda. Inoltre tutti concordavano che impegnarsi in un contenzioso avrebbe voluto dire perdere molto tempo e molto denaro.

Passammo il resto del pomeriggio a parlare della composizione delle quote ereditarie e, dopo aver raggiunto un equilibrio accettato da tutti, ci lasciammo fissando un ultimo incontro online per la sottoscrizione dell’accordo d mediazione che gli avvocati avrebbero confezionato.

Questo caso dimostra una volta di più come la mediazione sia strumento utile ed unico per consentire l’emersione di tutti quegli aspetti personali ed intimi che normalmente vengono trascurati dagli avvocati nella gestione di una trattativa e che il giudice nemmeno conosce nella gestione del processo. In realtà gli elementi personali, le emozioni, il riconoscimento dell’altra parte, la condivisione di un ricordo, sono tutti elementi nascosti che giocano un ruolo centrale nella possibilità di addivenire ad un accordo bilanciato ed accettato da tutte le parti. Sono quelli che io chiamo i miracoli della mediazione.

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